Una conversazione con Stefano Orlando Puracchio

Manuale Minimo del Rock Progressivo, il nuovo libro di Stefano Orlando Puracchio. Imperdibile occasione per una nuova intervista.

  • Dopo tre volumi digitali, arriva finalmente un cartaceo. Non è solo la carta la novità di questo tuo Manuale Minimo…

Sì, ma tutto nasce dalla volontà di venire incontro alle esigenze dei lettori, vecchi e nuovi. Nel corso degli ultimi anni la richiesta più gettonata è stata: “sì, ma quando arriverà un libro di carta?”.
Ora, credere nel sogno del self-publishing e degli e-book è cosa buona e giusta. Tuttavia, non si può prescindere dal mercato. Se i lettori ti dicono: “vogliamo la carta”, la tua risposta, sorridente, deve essere: “prego, ecco la carta”.
Questo è il motivo per cui ho deciso di condensare tutte le mie ricerche in un unico volume cartaceo, aggiungere nuove ricerche e stringere un’alleanza con un editore tradizionale.

  • Fermiamoci per un attimo proprio al titolo. Dopo tre titoli piuttosto espliciti – Rock Progressivo 1, 2 e 3 – ci imbattiamo in un Manuale Minimo.

Questo è il libro che avrei sempre voluto scrivere. Potrebbe sembrare una frase fatta ma non è così. Purtroppo (e per fortuna), la vita ti porta a fare delle scelte che, giocoforza, condizionano il risultato finale di un’opera. I libri sono scritti da persone. E queste amano, odiano, si ammalano, si divertono, s’arrabbiano… e tutte queste cose, per quanto si cerchi di separare il lavoro dalle vicissitudini della vita, influenzano il prodotto finale. “Rock Progressivo – una guida” e i successivi compendi trovano finalmente compimento nel “Manuale Minimo del Rock Progressivo”. I nuovi lettori potranno leggere un libro che, nei limiti di chi lo ha scritto, descrive in modo semplice un “genere” musicale avvincente, immaginifico, carico di sensazioni. I lettori che hanno invece già letto le precedenti opere troveranno, a parte la novità del supporto cartaceo, una completa rivisitazione dei temi trattati in precedenza e tante cose nuove. Il titolo è un omaggio al “Manuale Minimo dell’Attore” del premio Nobel Dario Fo. L’utilizzo della parola “minimo”, inoltre, delinea la precisa volontà di fornire un manuale base del prog, un vademecum. Il primo passo nel progressivo.

 

  • Il punto di forza del tuo lavoro è nella lunga sequenza incrociata di saggi tematici e interviste ai protagonisti, qui tutte insieme. Una sorta di omaggio alla proverbiale varietà del fenomeno progressive.

Potrei citare il Gonzo Journalism… le “cattive” influenze, in sostanza. Tuttavia, scherzi a parte, la mia intenzione è stata quella di bilanciare la mia visione con l’imprescindibile opinione dei protagonisti di quella stagione meravigliosa. Per ragioni anagrafiche, tutti i musicisti di quel periodo potrebbero essere miei padri. Quindi bisogna portare rispetto, stima ed essere riverenti. E’ per questo che il mio primo obiettivo è stato “inseguire” i musicisti. Sono loro i “maghi”, gli artefici della magia. Io, al massimo, sono un assistente stregone, un maggiordomo. O, come mi ha definito il decano del prog ungherese, Ádám Török, “un cavaliere crociato onorario del prog”.

 

  • Raccontare il progressive. Una sfida, considerata anche la propensione narrativa e immaginifica di tanti dischi prog, spesso concettuali e arricchiti da copertine piuttosto eloquenti. Come raccontare esperienze già così particolareggiate?

Mettendo da parte la superbia. Senza trascurare, però, l’orgoglio. Mi spiego. Se si parte dicendo: “il prog è luce è il pop è tenebra” si sta facendo un pessimo servizio alla causa. Se si dice, invece: “il prog è roba buona, ora vi spiego perché”, le cose vanno già molto meglio. Il prog necessita di uno sforzo per essere compreso. Chi lo propone dev’essere disposto a limare le proprie convinzioni allo scopo di venire incontro ai potenziali ascoltatori. Certo, il prog non è diretto come il pop, fatto anche di ballerini-cantanti, bei fusti o belle ragazze. Le copertine del prog non sono come le copertine dei dischi di Fausto Papetti. Il prog mette al centro la musica. Tutte le altre cose hanno la loro ragione d’essere in funzione della musica. Non ci sono furbi trucchi per attirare il pubblico. La sfida non è affatto facile. Ma ciò non vuol dire che sia impossibile. Bisogna, semplicemente, divulgare. Con tanta pazienza e, possibilmente, col sorriso.

 

  • Attraversando i numerosi saggi che hai curato, pensi ci sia qualche gruppo prog profondamente sottovalutato o poco noto, che meriterebbe una riscoperta e una degna esposizione mediatica?

Forse direi Il Cerchio d’Oro, formazione ligure che negli ultimi anni ha realizzato dei dischi molto interessanti. Essendomi fermato nel Manuale al periodo “classico”, non ho avuto modo di parlare di loro come ho invece fatto nel mio terzo libro. Tuttavia, “Il viaggio di Colombo”, “Dedalo e Icaro” e il recentissimo “Il fuoco sotto la cenere” mi hanno convinto.

 

  • Dedichi da sempre un’attenzione ammirevole alle sorti del prog italiano: secondo te qual è stato il segreto del progressive tricolore? Cosa lo ha reso così speciale?

Sai, è difficile essere imparziali. Per una questione di retaggio culturale nutro verso il prog italiano (e quello ungherese) un amore incondizionato. Sarebbe il caso di parlare d’Europa. Il prog è una realtà europea. Tutti i paesi d’Europa ci hanno regalato delle band e degli album degni di nota. Poi, a livello qualitativo, Inghilterra ed Italia si contendono il primo posto. Nel prog Italiano abbiamo condensato tutta la nostra passione, le nostre qualità migliori. Spesso ci soffermiamo sui nostri difetti, siamo inconcludenti, fanfaroni, sbruffoni. Tuttavia, a fronte di queste caratteristiche non proprio nobili, abbiamo un grande cuore. Il prog italiano è una questione di cuore. Non dobbiamo dimenticarlo mai. All’estero ci amano soprattutto per questo.

 

  • Nel Manuale Minimo c’è il coinvolgimento di due figure molto interessanti e a te care: Toni Fidanza e Massimo Manzi. Che tipo di contributo hanno offerto?

Toni, direttore dell’Orchestra Contemporanea e stimato jazzista, è stato così gentile da firmare la prefazione del libro. E, debbo ammettere, che mi sono commosso quando ho letto quello che aveva scritto. Massimo, invece, ha portato la sua preziosa testimonianza come rappresentante del mondo del jazz e del mondo del prog (tramite gli Agorà). Ritengo che l’introduzione Toni e il saggio di Massimo siano due delle tante gemme che rendono il Manuale abbastanza grazioso. Essendo spudoratamente di parte sto cercando di contenermi con le lodi.

 

  • Le copertine dei dischi prog sono fondamentali, altrettanto importanti le tue. Anche per questo cartaceo hai confermato l’arte di Bihon Gyözö.

Bihon Gyözö è un pittore ungherese con il quale ho aperto un’interessante collaborazione a partire dal secondo libro. Dopo aver coronato un sogno che coltivavo sin di bambino (avere come cover del primo libro un’immagine realizzata dall’illustratore di fiabe sonore Peet Ellison) ho avuto la fortuna di trovare in Bihon un valido alleato. E’ riuscito non solo a comprendere appieno la mia missione ma, soprattutto, ad associare all’idea che avevo in mente delle immagini sempre all’altezza. Vedi, a prescindere dall’ovvia soddisfazione di potermi definire scrittore e self-publisher, ho avuto la fortuna di trovare sempre validi collaboratori. E’ questo il punto che mi rende più felice.

 

  • Sul tuo blog mi ha colpito un tuo pezzo su McGoozer, giovane cantautore pop, che ti ha colpito per la freschezza. È forse questa che manca al prog contemporaneo?

McGoozer mi ha colpito positivamente. Finalmente ho potuto ascoltare del buon pop con dei validi contenuti. Musica di disimpegno senza, però, essere banale. Se fossi un produttore uno come McGoozer lo prenderei subito nel mio roster. E gli darei gli strumenti per alzare leggermente il tiro. Forse sono un visionario ma l’idea di una sorta di “pop progressivo” che possa incontrare a metà strada un po’ tutti non è una cattiva idea.

 

  • A bocce ferme, dopo anni di ascolto analitico, ovviamente appassionato ma attento e minuzioso, dacci un tuo parere sui pregi e i difetti del rock progressivo.

L’unico difetto del prog è l’autoreferenzialità. C’è lo stesso problema che si riscontra con la saga di Star Trek. Ci sono codici, convenzioni, modi di dire che all’esterno sono poco comprensibili. Ed è un peccato perché tutti sappiamo che, potenzialmente, il prog potrebbe avere una platea molto più vasta. Stiamo parlando di bellezza. E il bello piace e può piacere. Ci sono due vie: o allargare la platea (divulgando) oppure fare una sorta di reboot. Proprio come successo con Star Trek. La prima via è quella che sto seguendo io. La seconda dipende dai musicisti e dai produttori illuminati.

 

  • Anno dopo anno il mondo del rock cambia, e anche quello del progressive, apparentemente più statico e impermeabile alle novità. Oggi, nella primavera del 2018, come pensi sia messo il prog in giro per il mondo e in Italia?

Guarda, bisogna crederci. Continuare a pensare che, con impegno e dedizione da parte di tutti gli operatori del settore, si possa aiutare il progressivo a sopravvivere in questo mondo piuttosto cinico. Poi, il passo successivo: sostituire il “sopravvivere” con il “vivere”. Ci sono un sacco di realtà interessanti in giro. Penso a musicisti che ho intervistato in passato: I Marchesi Scamorza, Gli Unreal City… giusto per fare i primi due nomi che mi vengono in mente. Le band devono credere nel sogno. E noi operatori della comunicazione faremo la nostra parte. Sostenendo le band e spronandole, se necessario. Tutto questo con un obiettivo in comune: offrire ai lettori e agli ascoltatori prodotti validi. Il prog c’è.

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